11 gennaio 2016

Sono passati 4 anni, a me pare sia passata un’ era geologica, ecco spiegato il principale motivo per il fastidio che provo quando sento la classica frase: “Sembra ieri…” No, a me non sembra ieri, per me è passato tanto, tantissimo tempo da quando non vedo più la prima delle mie figlie e oggi, purtroppo, è l’ anniversario dell’ ultima volta che l’ ho vista in vita.

Mi manca, mi manca da morire, mi manca poterla veder crescere, mi manca il suo profumo, mi manca tantissimo la sua voce (forse è la cosa che più mi manca!), il suo sguardo furbo, si, mi manca una figlia, mi manca Maia.

L’ altra sera approfittando di una serata di pace, gentilmente offertaci dalle nostre due iene, io e mia moglie abbiamo visto inside-out, un fil d’ animazione molto bello, una parte consistente del film è dedicata ai ricordi, di questo particolare meccanismo che fa si che alcuni svaniscano mentre altri siano “ricordi base”, ecco, fra i miei, fra i nostri ricordi base ce n’ è uno molto forte, un dottore che ci chiama, ci fa entrare e accomodare e con tutto il tatto del caso ci spiega che Maia “non ce l’ ha fatta”. Ha usato proprio queste parole. Dopo un ora o due lo stesso dottore trovò la forza di dirci altre parole: “Non fermatevi, non fermatevi qui, datele una sorella, un fratello ma non fermatevi, Lei non lo vorrebbe!”

Furono parole importanti per noi, furono il primo di molti appigli a cui aggrapparsi per sopravvivere e, per certi versi, in giorni come questo, siamo ancora aggrappati a quelle parole.

Le mie parole invece sono sempre quelle, ma non tragga in inganno, non si tratta di un semplice copia e incolla, no, semplicemente sono la dimensione che ho voluto dare al mio dolore in questa buia ricorrenza. Scrivere parole nuove significherebbe cercare altri punti di vista per una cosa che, semplicemente, altri punti di vista non ne può avere.

Queste le mie parole, cristallizzate, indelebili perché così è e così sarà, sempre:

“L’ 11 Gennaio è per molte persone un giorno come tanti e anche per me lo era, poi però, 4 anni fa è successa una cosa che ha cambiato irrimediabilmente la mia vita, mia figlia, Maia, 2 anni e 2/3, mi ha detto queste parole: “Papà, ti voglio bene”, “Anch’ io te ne voglio”, ho risposto e lei: “Papà, ti voglio tanto bene!”, non me l’ aveva mai detto, l’ aveva detto alla mamma, alla nonna, ma a me mai, eravamo in bagno, lei sul vasino e io sul wc, ha fatto pipì, mi ha guardato, mi ha detto che mi voleva tanto bene poi le ho passato un fazzolettino, lei si è asciugata, ha tirato su mutandine e pantaloni e se n’ è andata, “Papà, ti voglio tanto bene” è stata l’ ultima cosa che mi ha detto, chiunque abbia perso una persona cara avrà detto o almeno pensato, “Non ho neanche avuto il tempo di dirgli quanto gli o le volessi bene…”, noi ce lo siamo detti e non in un ospedale o in una situazione particolare, eravamo a casa, in piena salute, dopo aver passato il pomeriggio insieme, un bel pomeriggio fra l’ altro. Nei giorni seguenti non potei fare a meno di pensare molto a quelle parole e concludere che una parte di Lei sapeva benissimo quello che sarebbe successo di li a poco, sapeva che il suo tempo era scaduto e quindi mi salutò con le parole che chiunque userebbe per congedarsi da una persona molto cara, “Ti voglio bene”, semplice, chiaro, facile, bello. Qualche giorno fa una cara amica mi ha scritto, “Si avvicina una data importante, cosa provi?” Cosa provo? Non fa più male di altri giorni, come potrebbe? Il dolore è lo stesso di sempre, non è certamente peggio del Natale o del primo giorno di scuola o di quando andiamo in vacanza… Devo comunque ammettere che l’ 11 gennaio non è un giorno come tutti gli altri, no, oggi è il compleanno celeste di Maia e come tale va festeggiato, come? Con una preghiera, con un fiore e facendo qualcosa che piace-va fare a Lei e così faremo, “Ti voglio bene Maia, oggi come allora, oltre il tempo, oltre lo spazio, buon compleanno celeste!”.

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